Non è una novità: l’efficacia di un questionario dipende anche dalla capacità di fare le domande nel giusto ordine. È stato infatti più volte dimostrato come l’attenzione dell’intervistato, durante un questionario, tenda a variare, inficiando la qualità delle risposte (e del questionario stesso).
La randomizzazione è una tecnica che aiuta a limitare questo tipo di distorsioni: vediamo il suo funzionamento più da vicino.
Cos’è la randomizzazione
Studiando i comportamenti degli intervistati, i ricercatori hanno riscontrato alcuni comportamenti distorsivi frequenti:
- Primary effect: le persone, di fronte ad una lista di opzioni, sono più propense a scegliere la prima opzione
- Recency effect: le persone sono propense a scegliere l’ultima opzione
- Soglia d’attenzione e blocchi di domande: se il questionario viene diviso in blocchi di domande, l’intervistato tenderà a rispondere negli ultimi blocchi seguendo lo stesso schema dei primi.
La randomizzazione limita l’impatto di queste distorsioni, aumentando la qualità delle risposte. Osserviamo alcune applicazioni pratiche.
La randomizzazione: tipologie ed applicazione pratica per migliorare la qualità dei dati
Possiamo suddividere la randomizzazione in 2 tipologie:
- Randomizzazione semplice: coinvolge tutti gli item di risposta e consiste nel farli ruotare gli uni con gli altri, esclusi gli item “non risponde”, “altro/specificare”, “non so” che andranno sempre posti per ultimi
- Randomizzazione a blocchi: gli item di risposta possono essere organizzati in blocchi. La randomizzazione in questo caso, riguarda sia i blocchi sia le risposte all’interno dei blocchi.
Ma quando applicarle? Quando è preferibile (e più efficace) usare la randomizzazione? Quando invece non apporta nessun beneficio?
Rispondiamo con ordine. La randomizzazione si applica, ad esempio, nei sondaggi di opinione, come quelli per le elezioni politiche. Alla domanda “per chi ha intenzione di votare alle prossime elezioni” le risposte vengono organizzate in blocchi e randomizzate. Altra applicazione da manuale è per i sondaggi che come obbiettivo hanno la valutazione di più prodotti da parte dell’intervistato.
Un’altra applicazione interessante è rappresentata dalla randomizzazione di domande personali all’intervistato. Accade spesso che molti questionari vengano abbandonati e non portati a termine poiché le domande di opinione e quelle personali non vengono distribuite con equilibrio. In questo caso, una randomizzazione semplice, apporta notevoli benefici non solo sulla qualità delle risposte, ma ha anche sulla response rate.
Quando è preferibile invece non applicarla? Nei seguenti 3 casi:
- In domande demografiche: età, sesso, data di nascita… quando le persone sono abituate ad una certa sequenza delle domande, la randomizzazione non solo non è necessaria, ma risulta controproducente poiché richiede uno sforzo aggiuntivo all’intervistato
- Scale di valutazione: randomizzare una valutazione, ad esempio, da 1 a 5, rischia solo di confondere l’intervistato
- Lunga lista di opzioni: di fronte una lunga lista di opzioni spesso conviene seguire un ordine logico (come quello alfabetico), piuttosto che randomizzare.
Conclusioni
La randomizzazione, nei casi in cui va applicata, aiuta a minimizzare le distorsioni delle risposte e la qualità dei dati raccolti. Di certo non è uno strumento che può darti la certezza di azzerare il rischio di risposte non efficaci, ma può esserti di grande aiuto.
Attualmente i software moderni sono in grado di applicarla automaticamente e in maniera affidabile per ogni tecnica di indagine, con un notevole risparmio di tempo e la certezza che la randomizzazione verrà applicata correttamente.